giovedì 22 ottobre 2009

La Grande Pioggia Acida

Cammino per i viottoli catramosi della Grande Cotoletta, mentre la pioggia acida discioglie i cavedani spiaggiati ai margini delle strade, le suole ghiacciate nell'asfalto, i boccaporti dei palazzi rigurgitanti di vita, mentre tutto svanisce nella pioggia acida, come un corroso esangue ricordo. Durante il tragitto mi mastico le dita tanto a fondo che se vi guardo attraverso posso vedermi il polso. Cos'è cos'è. Altisonante senso di inquietudine.
Una vita spesa a vaneggiare di sensazioni che non so spiegare, a scalpellare le pagine bianche per ottenere sculture di parole e gesti densi come macigni di nebbia.
Manca la passione, manca l'amore? Sì/No/Forse. Forse in passato ne ho avuto troppo, con in dotazione una vasta gamma di irrisolte azioni da innamorato degno di compassione.
Sconsiderato Esibizionismo, Masochismo Perpetuato, Piagnistei et Autocompatimento.

Ora dovrei comportarmi come se sappia dove sto andando a parare, come un portiere che ostenta un buon senso dell'orientamento, anche in questo intervento non so dove sto andando.
Forse che ormai cerco di evitare legacci e legami seri (non in senso bondage) con qualunque individuessa, li schivo come formaggio, per evitare di ritrovarmi le solite azioni penose in dotazione che mi artigliano la faccia e me la ficcano in culo mettendomi dinnanzi alla mia illuminante meravigliosa essenza, la maschera che ci forgiamo serve a nascondere la nostra faccia di fece, ma la maschera che ci forgiamo è essa stessa fece.

Cavolaccio, e quindi, cari amici, tutto cambia da quegli estremi saluti che ci si scaglia con violenza dai finestrini dei treni, quegli sguardi che vogliono dire troppe cose in troppo poco tempo, che vogliono essere significativi, ma tutto quello che sanno fare è imprimerti un marchio di riconoscimento sull' organo cardiovascolare fino a fartelo sanguinare, tempo un respiro e si sono fusi con la linea dell'orizzonte.
Il sesso ora è un palcoscenico, io sono l'attore, loro sono il pubblico.
Loro sono il pubico.
Lancio alle donne occhiate inferiori al nanosecondo per timore che i nostri sguardi si ingarbuglino, e fossimo costretti a mutilarci le pupille rimanendo brancolanti nel buio alla ricerca di un abbraccio.
E per strada, mentre la pietra si squaglia come neve e la città si dissolve, mentre le impudiche mamme di età avanzata ti scopano con gli occhi senza indugio, mentre il malessere dadaista e canceroso mi sventra la milza e corrobora la mia scarsa colazione, riesco ad assaporare ancora dei beceri stati di illuminazione, ma sempre più radi e acciecanti.

E la salvezza mistica è pretenziosa con me, ogni giorno di più, in questo squallore non mi resta che vivere stillato da un contagocce.